Dal Castello di Isabella Morra a Valsinni, dalla Madonna del Pollino e dalla Serra di Crispo ai Monti di Orsomarso fino alla Valle dei cedri, gli antichi sentieri portano in un mondo di valori naturali e culturali, che appagano di benessere i desideri e lo spirito dell'uomo e lo fanno star meglio.
Si cammina all'ombra delle faggete del Bosco Magnano; si sale verso la timpa di San Lorenzo, verso il cozzo del Pellegrino, la serra delle Ciavole e la Montea; si scivola sull'acqua del torrente Peschiera, delle gole del Raganello e del Lao e del fiume Abatemarco; si trova riparo nella valle dell'Argentino.
Sui piani del Pollino e di Novacco, tra i prati di alta quota, il corpo riprende fiato, si libera degli affanni, guarda gli orizzonti e ritempra lo spirito.
L'infinito, il silenzio, i colori, i cieli limpidi, il brillare nitido delle stelle, nella notte, nel buio, senza altre luci, tutto avvolge e dà piacere.
Il grande Parco è magia; è magia attraverso le rocce dolomitiche, i basalti, gli strapiombi, le grotte, i circhi glaciali, gli accumuli morenici, il pino loricato, simbolo del Parco, l'associazione abete-faggio, l'aquila reale, il lupo, il capriolo e la lontra.
La vastità dell'area dà mille sorprese; mille diverse immagini e vedute scorrono nell'animo stupito, cadenzate dai suoni e dai ritmi degli ambienti naturali.
È un incontro mirabile tra la natura e l'uomo, un ripetersi di colture dopo colture, di culture dopo culture, un susseguirsi di stagioni e di innesti, di emigrazioni e ritorni, di ibridazioni e di contaminazioni per accrescere ed arricchire le biodiversità, che hanno reso le terre, i luoghi, i frutti, i semi, i grani, gli insediamenti aperti e in divenire, vari, ma tutti ancorati alla naturalità e alle identità e alle radici del Parco.
È la storia con i ritrovamenti paleontologici, i graffiti, le vestigia del passato; con i resti della cultura materiale, delle etnie, delle isole linguistiche appartenenti alle minoranze di origine italo-albanese; con i fumi dei camini delle vecchie case di campagna e dei piccoli paesi; con le piante, le orchidee e le peonie selvatiche e i fiori di campo; con i luoghi vissuti dall'uomo; con le greggi al pascolo e la vita agreste, altrove sempre più oppressa e quasi scomparsa, messa da parte dalla modernità.
Aria, acqua, terra, luce, odori, sapori, suoni formano una natura libera e pura, dove l'ansia si spegne.
Il paesaggio quasi non è cambiato da secoli; i campi coltivati misurano ancora la fatica dei suoi abitanti, dei contadini, dei pastori e degli artigiani; gli spazi della vita quotidiana sono ancora disegnati dalle vecchie consuetudini.
La campagna si veste a nuovo dei colori delle diverse stagioni; fa riposare dai frastuoni; da ristoro al fresco di aliti di vento che avvolgono monti e valli; disseta a sorgenti di acque limpide con il sapore delle rocce, da dove sgorgano, e della natura, che le ha generate.
Il paesaggio agrario si connota dell'architettura spontanea delle vecchie dimore contadine fatte per ripararsi dai gelidi inverni e dalle torridi estati, per accogliere i figli e i figli dei loro figli in un paziente succedersi di generazioni che attendono con trepidazione ogni stagione per godere dei suoi frutti e delle suggestioni dei singoli climi. Emerge con le sculture naturali di alberi di quercia che sfidano il cielo, con il pero, il mandorlo, l'ulivo e, ormai, i molti rovi, le siepi, le tantissime ginestre. Si distingue nel segno della pietra: la pietra delle case, dei muretti a secco dei viottoli di campagna, dei limiti degli appezzamenti di terra.
Dentro questo mondo si vive dei ricordi delle famiglie con le loro foto di gruppo, in bianco e nero, con le cerimonie dei loro matrimoni, con i luoghi ritrovati dell'infanzia, con i momenti solenni delle processioni, con i balli popolari e i ritmi delle zampogne, con i costumi di un tempo; con le notti insonni al bivacco in attesa dei riti religiosi del giorno dopo sul sagrato delle chiesette in montagna o tra i boschi per gli annuali festeggiamenti dei culti arborei.
Qui tutti possono sentirsi un po' figli di questa natura, protetti dal suo vastissimo e preziosissimo campionario di endemismi e di biodiversità, tra naturalità, ruralità e tipicità, tra originalità e genuità.
È il territorio delle testimonianze dell'antica Lucania che con la via istmica univa la costa tirrenica, da Cirella, ai resti archeologici di Sibari sullo Jonio; un territorio dove la strada ferrata da Castrovillari a Laino e a Castelluccio percorsa dalla "littorina" annunciava fino a qualche decennio fa l'avvento nelle contrade del Pollino della civiltà delle macchine.
Oggi, le vecchie stazioni, i ponti e le gallerie in pietra e la tratta ferroviaria calabro-lucana, interamente in disuso dopo l'abbandono e le dismissioni, mostrano il fascino accumulatosi negli ultimi decenni anche di una singolare ed avventurosa rivisitazione tecnologica del passato.
Qui il Parco Nazionale del Pollino custodisce la natura e l'uomo, ecologie e culture locali tradizionali.
Qui il legame tra terra ed attività umane rimane profondo e indissolubile e il Parco lo conserva e lo tutela.
Annibale Formica